Cibo, vino e diavoli a San Gimignano: due affreschi che trattano il tema del peccato di gola e dei suoi effetti nell’aldilà, realizzati nella città delle torri.
Un dannato, accasciato sopra una botte, è costretto da un diavolo a ingurgitare vino con un imbuto. Il suo ventre è visibilmente gonfio. Al di sotto, altri due dannati schiacciati dal peso della stessa botte.
Nella Chiesa di San Lorenzo in Ponte
La scena qui ritratta è un particolare dell’Inferno, dipinto sulla parete sinistra della chiesa di San Lorenzo in Ponte a San Gimignano. L’opera, del pittore fiorentino Cenni di Francesco di ser Cenni è stata realizzata intorno al 1413. L’artista si formò alla scuola di Andrea di Cione di Arcangelo detto l’Orcagna.
Possiamo desumere, nonostante l’affresco sia assai deteriorato e con ampie lacune, che il pittore abbia voluto così rappresentare la pena riservata ai Golosi. Erano condannati, secondo la legge del contrappasso per analogia, a subire la perpetua ripetizione del peccato commesso.
Nella Divina Commedia
Anche l’Alighieri nella Divina Commedia riservava a questi peccatori una pena terribile. Dante cita la gola tra i sette peccati capitali assieme a ira, avarizia, invidia, superbia, accidia e lussuria. Nel Medioevo, in un’epoca in cui la penuria di alimenti era largamente diffusa tra i poveri, l’eccesso di cibo e vino era giudicato una esecrabile violazione dell’ordine morale, meritevole di un castigo esemplare.
Nel VI Canto dell’Inferno i Golosi sono riversi nel fango sotto una pioggia eterna, un misto di acqua fetida, grandine e neve. Intanto Cerbero, il famelico cane a tre teste della mitologia pagana, emette latrati bestiali e scortica e scuoia i loro corpi.
Nella Collegiata
Sempre a San Gimignano, liberamente ispirata alla commedia dantesca, memorabile è la scena della punizione del vizio della gola. Fu dipinta da Taddeo di Bartolo nella Collegiata, a cavallo tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento. Sei ghiottoni, tra i quali un indimenticabile monaco rotondetto, sono sottoposti al supplizio di Tantalo di fronte a una tavola imbandita di cibi e bevande. Anche in questo caso ai dannati viene applicata la legge del contrappasso, ma per contrapposizione. I diavoli infliggono loro il tormento di dover osservare e desiderare quanto vi è da mangiare e da bere sulla tavola. Ma il loro insaziabile appetito è destinato a rimanere perennemente inappagato.
I golosi di Dante
Tra i Golosi ricordati da Dante, non nell’Inferno bensì nel Purgatorio, anche un papa, Martino IV (1281 – 1285). Si dice che fosse ghiotto delle anguille del lago di Bolsena che faceva affogare nel vino Vernaccia per poi arrostirle.
Il Sommo Poeta, accogliendo la diceria che Martino fosse morto proprio in seguito a un’indigestione di questa prelibata pietanza, lo descrive nel XXIV Canto “mentre purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la Vernaccia“.
Nell’ambito delle manifestazioni organizzate dal Comune di San Gimignano per la ricorrenza del 7° centenario della morte di Dante Alighieri, nella chiesa di San Lorenzo in Ponte è esposto un prezioso incunabolo della Divina Commedia di Matteo Codeca da Parma, del 1493, con commento di Cristoforo Landino.