Sapìa, gentildonna senese nata Salvani, fu protagonista del canto XIII del Purgatorio di Dante. Una figura femminile che emerge per la forte caratterizzazione, con tratti molto sofferti, come interprete dell’invidia.
Nonostante il nome infatti, Sapìa significa saggia, savia, non lo fu nell’augurare la sconfitta ai propri concittadini nella battaglia di Colle Val D’Elsa.
“Savia non fui, avvegna che Sapìa / fossi chiamata, e fui delli altrui danni / più lieta assai che di ventura mia”.
Sapìa fu una nobile senese, moglie di Ghinibaldo Saracini, signore di Castiglioncello e parteggiava così accanitamente per la parte guelfa da essere considerata folle. Purché fosse vittoriosa la sua parte, calpestò interessi e sentimenti, inimicandosi parenti e amici.
Avvicinandosi lo scontro tra i suoi nemici, che allora comandavano Siena e i fiorentini guelfi, parteggiò per i nemici della sua città e augurò la sconfitta dei ghibellini comandati da Provenzan Salvani di cui era zia paterna.
Fu cacciata dalla città e riparò a Colle Val D’Elsa, nei cui pressi si stava preparando la battaglia tra i due eserciti.
Impaziente di conoscere l’esito dello scontro, salì sopra una torre della città per godere dello spettacolo dell’eccidio dei suoi nemici, giurando che si sarebbe gettata dai merli, nel caso che i senesi fossero risultati vincitori.
Siccome i ghibellini fiorentini prevalsero, gioì tanto per la sconfitta dei guelfi senesi, da credere d’aver piegato la volontà del Cielo.
Sapia secondo Dante
I tratti che rappresentano Sapia Salvani, sono in generale quelli degli invidiosi i quali, costretti a vestire panni ispidi e pungenti dal colore spento, si sostengono fiacchi l’un altro e tutti, a loro volta, si addossano alla parete del monte.
Il dettaglio iconografico che la identifica maggiormente, è il mento alzato, così come usano fare i ciechi. Infatti Sapìa ha gli occhi cuciti da un fil di ferro ed è quindi costretta ad alzar la testa per vedere le immagini dalle strette fessure in mezzo alle palpebre.